Ancora oggi le cause precise dell’Alzheimer e delle altre forme di demenza restano incerte. L’enorme complessità del cervello umano rende estremamente difficile lo studio di queste patologie. Gli esperti ritengono che all’origine possano esserci diversi fattori che agiscono in combinazione: genetica, ambiente, familiarità e stile di vita. Per anni, la ricerca si è concentrata sull’accumulo di placche di amiloide e grovigli della proteina tau, due segni tipici dell’Alzheimer, ma i risultati ottenuti non hanno portato a significativi passi avanti né nella prevenzione né nei trattamenti. Per questo motivo, negli ultimi tempi gli scienziati stanno esplorando nuove piste, come il possibile ruolo di alcuni virus — tra cui il virus dell’herpes zoster — nell’insorgenza della demenza.
Diversi studi avevano già suggerito una correlazione tra il vaccino contro l’herpes zoster e una riduzione del rischio di sviluppare demenza. Ora una nuova ricerca condotta dalla Stanford Medicine, pubblicata sulla rivista Nature, fornisce le prove più solide mai raccolte su questo nesso. I risultati potrebbero avere un’importanza enorme: un vaccino già disponibile potrebbe offrire una protezione significativa contro una malattia complessa e debilitante come la demenza.
L’herpes zoster, noto anche come fuoco di Sant’Antonio, colpisce ogni anno più di 150 mila persone in Italia. È causato dalla riattivazione del virus della varicella, che rimane dormiente nelle cellule nervose anche per decenni. Con l’età o in caso di indebolimento del sistema immunitario, questo virus può riattivarsi, provocando una dolorosa eruzione cutanea. Il rischio aumenta sensibilmente con l’avanzare dell’età a causa della cosiddetta immunosenescenza, cioè la naturale perdita di efficienza del sistema immunitario.
Nello studio, i ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 280.000 persone residenti in Galles, alcune delle quali avevano ricevuto il vaccino Zostavax, impiegato dal 2013 per gli adulti sopra una certa età. Questa situazione ha creato una divisione naturale tra chi era stato vaccinato e chi no, permettendo un confronto efficace. I risultati sono chiari: le persone vaccinate presentavano un rischio di demenza inferiore del 20% nei sette anni successivi rispetto a chi non aveva ricevuto il vaccino.
Secondo Pascal Geldsetzer, autore dello studio, si tratta della prima prova concreta e solida che lega direttamente la vaccinazione a una riduzione del rischio di demenza. Non è ancora chiaro il meccanismo esatto: si ipotizza che il vaccino possa ridurre l’infiammazione nel sistema nervoso o stimolare il sistema immunitario in modo da offrire una protezione più generale contro le malattie neurodegenerative.
Pur trattandosi di uno studio osservazionale, quindi non sufficiente a dimostrare un legame causale certo, i risultati rappresentano una svolta nella ricerca. Se ulteriori studi confermeranno l’effetto protettivo del vaccino, si aprirebbe la strada a una nuova strategia di prevenzione per una delle malattie più diffuse e temute del nostro tempo.
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