L’Alzheimer (AD) è una malattia che danneggia il cervello molto tempo prima che i sintomi clinici si manifestino. Questo è il motivo per cui quando arriva la diagnosi, la memoria e le funzioni cognitive sono già compromesse. Le cause precise della malattia non sono ancora completamente comprese, ma l’AD è spesso caratterizzata dall’accumulo anomalo di una proteina chiamata amiloide nel cervello. A fronte di questo, sono stati sviluppati anticorpi monoclonali per contrastare l’accumulo di amiloide, con alcuni farmaci già in uso negli Stati Uniti e che potrebbero arrivare presto anche in Europa. Queste terapie, però, sono efficaci solo se somministrate nella fase precoce dell’Alzheimer e non sono prive di effetti collaterali, motivo per cui devono essere prescritte con attenzione.

Un aspetto cruciale nella lotta contro l’Alzheimer è riuscire a identificare con la massima accuratezza chi, tra i pazienti con disturbo cognitivo lieve (MCI), progredirà verso la demenza. A tal proposito, uno studio significativo, denominato “Interceptor”, ha fatto importanti passi avanti nella previsione di chi è a rischio di sviluppare Alzheimer.

Lo studio “Interceptor” è stato avviato nel 2016, in risposta alla potenziale approvazione da parte della Food and Drug Administration di farmaci contro l’amiloide, considerata una delle principali cause della demenza di Alzheimer. Lo studio, coordinato dal Prof. Paolo Maria Rossini, direttore dell’Unità Operativa di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ha avuto come obiettivo quello di identificare i pazienti a rischio di Alzheimer attraverso un’accurata analisi dei biomarcatori.

Lo studio ha coinvolto 351 pazienti con disturbo cognitivo lieve provenienti da 19 centri clinici in tutta Italia. Ogni paziente è stato sottoposto a una serie di esami, tra cui il test Mini Mental, la Pet per l’analisi dell’attività metabolica cerebrale, la Risonanza Magnetica, l’elettroencefalogramma, il test genetico per il gene APOE e l’esame del liquido rachidiano per misurare i marker biologici dell’Alzheimer. I ricercatori hanno seguito i pazienti per 2,3 anni, durante i quali 104 pazienti hanno sviluppato una forma di demenza, 85 delle quali Alzheimer.

Lo studio ha individuato otto parametri fondamentali per predire con precisione il rischio di progressione verso la demenza. Questi biomarcatori sono: il sesso, l’età, il questionario Amsterdam IADL (che valuta la capacità di svolgere le attività quotidiane), la familiarità per la demenza, il test Mini Mental, il volume dell’ippocampo sinistro, il rapporto abeta-42/p-tau (indicatori biologici associati all’Alzheimer) e l’elettroencefalogramma (per lo studio della connettività cerebrale). Questi biomarcatori, utilizzati insieme, hanno mostrato un’accuratezza di circa l’82% nel predire lo sviluppo della demenza. Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno creato uno strumento elettronico che potrebbe essere utilizzato dai medici per identificare con maggiore precisione i pazienti a rischio di Alzheimer.

Se l’AIFA approverà l’uso dei nuovi farmaci contro l’amiloide, i ricercatori del progetto “Interceptor” intendono avviare un nuovo studio (“Interceptor 2”) per validare ulteriormente il modello di predizione e testare sul campo la capacità di identificare i soggetti ad alto rischio. Inoltre, i ricercatori prevedono di utilizzare algoritmi di intelligenza artificiale per affinare ancora di più la diagnosi precoce e migliorare la prevenzione della malattia.

Di recente, due anticorpi monoclonali, donanemab e lecanemab, sono stati approvati dalla Food and Drug Administration per trattare l’accumulo di amiloide nel cervello. Sebbene questi farmaci possano rallentare il declino cognitivo, il loro impatto a lungo termine resta ancora incerto. Possono anche causare effetti collaterali significativi, come edema ed emorragia cerebrale, e devono essere somministrati sotto stretta supervisione medica. Secondo Robert Nisticò, Presidente dell’AIFA, l’efficacia di questi farmaci a lungo termine deve ancora essere verificata. Tuttavia, i trattamenti precoci, combinati con l’uso di biomarcatori per la diagnosi e la prognosi, sono fondamentali per migliorare la gestione della malattia.

L’Alzheimer è una malattia complessa, e la sua lotta richiede non solo terapie mirate, ma anche un approccio basato sulla medicina di precisione, con terapie combinate per trattare la malattia nel modo più personalizzato possibile per ciascun paziente. In futuro, grazie ai progressi nelle diagnosi precoci e nelle terapie target, potremmo vedere significativi miglioramenti nel trattamento dell’Alzheimer e nella qualità della vita dei pazienti.

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