Il mistero dei cinghiali radioattivi nella zona contaminata di Chernobyl ha da sempre intrigato gli scienziati. Nonostante il tempo trascorso dall’esplosione della centrale nucleare nel 1986, la carne di questi animali continua a mostrare livelli elevati di radioattività, a differenza di altri mammiferi come i cervi. Uno studio recente pubblicato su Environmental Science & Technology propone una spiegazione indiretta ma plausibile a questo fenomeno: i cinghiali non sono solo esposti alle radiazioni della catastrofe di Chernobyl, ma anche a quelle dei test atomici degli anni Sessanta.
Il lavoro di ricerca si è concentrato su una popolazione di cinghiali in Baviera, ma gli autori sostengono che le conclusioni possano essere applicate anche ai cinghiali di Chernobyl. Questi animali, come molti altri che vivono vicino alla zona di Pripyat, presentano livelli significativi di cesio-137, un isotopo radioattivo prodotto dall’incidente nucleare.
L’elemento interessante è che i cinghiali contengono anche il cesio-135, un isotopo più difficile da rilevare e con un tempo di decadimento molto più lungo. Questo isotopo non è il risultato dell’incidente di Chernobyl, ma dei test atomici condotti in Europa durante la Guerra Fredda. Il cesio-135 impiega molto tempo per infiltrarsi nel suolo e contaminare i funghi Elaphomyces, una parte importante della dieta dei cinghiali in Baviera.
Questo spiega perché i livelli di radioattività nei cinghiali non diminuiscono nel tempo: continuano a consumare sostanze radioattive presenti nel suolo da oltre sessant’anni. Lo stesso meccanismo sembra essere in atto a Chernobyl, dove i cinghiali locali continuano a nutrirsi di cibo contaminato lentamente. Al contrario, cervi e altri mammiferi della zona, che non si nutrono di funghi, stanno gradualmente perdendo la loro radioattività.